L’uomo contemporaneo entra continuamente in contatto con una smisurata quantità di segnali ed immagini, basti pensare al semplice gesto di aprire la home di instagram, per citarne uno tra molti, e a come in un secondo si è catapultati di fronte ad un’ infinita entità di media.
Viviamo in un mondo fatto di immagini, un’iconosfera, in cui siamo vittime di un bombardamento mediatico che sottopone ai nostri occhi contenuti di svariata natura, dalle semplici comunicazioni linguistiche ai video e alle fotografie, tanto che è possibile parlare di inflazione dell’immagine.
E’ un fenomeno peculiare della nostra epoca, una rivoluzione con un impatto di gran lunga superiore alle epoche precedenti.
Se per l’uomo del passato l’esperienza di immagine era fondamentale e svolgeva svariate funzioni, tra cui educative e religiose, su di essa si basava, ad esempio, il suo rapporto con il divino, per l’uomo di oggi la visione di una fotografia è entrata a far parte della normalità, “entriamo ed usciamo” dalle immagini senza riconoscere il distacco tra la realtà e la rappresentazione di essa.
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Tuttavia non tutto ciò che vediamo ha un significato degno di nota, ha una veridicità attendibile o è oggetto del nostro interesse.
E’ necessario dunque essere in grado di saper scegliere e selezionare su cosa porre la nostra attenzione e il nostro sguardo.
La ricerca fotografica ed antropica di Francesco Corbetta parte da questi presupposti e trova una forte analogia con il pensiero di Gillo Dorfles, studioso e critico d’arte, che bene ha espresso questo concetto di “horror pleni”, e la relazione che la società contemporanea intrattiene con le immagini, le comunicazioni e i messaggi.
“oggi siamo completamente saturi di segnali e di comunicazioni, un groviglio di messaggi che molto dicono e poco (o nulla) comunicano. La nostra facoltà di immaginazione è disturbata. Persino i nuovi orizzonti della comunicazione digitale, che all’inizio ci apparivano come vastità inesplorate, sono già carichi di pseudo- oggetti e pseudo-eventi. E allora: possiamo mantenere, anche nel nostro Horror Pleni quotidiano, una consapevolezza”?
Da Horror pleni. La (in)civiltà del rumore, 2008, Roma.
#guardomanonvedo è una riflessione e ancor di più una provocazione
“nelle fotografie creo un “muro bianco” che nulla ci fa vedere...per aprirci gli occhi”.
Lo spazio bianco lascia posto alla nostra immaginazione, può essere colmato con il nostro immaginario, le nostre emozioni e i nostri pensieri.
L’intento è quello di creare uno spazio visuale che vuole far vedere e non semplicemente guardare.
Francesca Tripoli